La storia del panettone

Dai tre grandi pani medievali al panettone

“Panettone” viene da Pan de Toni?

Secondo questa chiave etimologica Toni, umile sguattero della cucina di Ludovico il Moro, sarebbe l’inventore di uno fra i dolci più caratteristici della tradizione italiana. Ecco la storia: alla vigilia di un Natale, il capocuoco degli Sforza brucia il dolce preparato per il banchetto ducale. Toni, allora, decide di sacrificare il panetto di lievito madre che aveva tenuto da parte per il suo Natale. Lo lavora a più riprese con farina, uova, zucchero, uvetta e canditi, fino ad ottenere un impasto soffice e molto lievitato. Il risultato è un successo strepitoso, che Ludovico il Moro intitola Pan de Toni in omaggio al creatore.

Non è così pacifico il primato di Toni

L’intraprendente sguattero se lo disputa con altri creativi della pasticceria, fra i quali spiccano Ughetto degli Atellani e Suor Ughetta. Il luogo della contesa, però, non è la storia, ma l’immaginario collettivo: quella di Toni e le altre sono leggende concepite tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, per nobilitare ulteriormente quello che è già il vanto della gastronomia milanese. Ughetto e Ughetta, tra l’altro, sono nomi legati al vocabolo che in milanese sta per uvetta: ughett.

La vera origine del panettone

La vera origine del panettone va ricercata nell’usanza diffusa nel medioevo di celebrare il Natale con un pane più ricco di quello di tutti i giorni. Un manoscritto tardo quattrocentesco di Giorgio Valagussa, precettore di casa Sforza, attesta la consuetudine ducale di celebrare il cosiddetto rito del ciocco. La sera del 24 dicembre si poneva nel camino un grosso ciocco di legno e, nel contempo, venivano portati in tavola tre grandi pani di frumento, materia prima per l’epoca di gran pregio. Il capofamiglia ne serviva una fetta a tutti i commensali, serbandone una per l’anno successivo, in segno di continuità.

Una tradizione tutta natalizia

Anche un’altra realtà storica avvalora la derivazione del panettone dal grande pane di frumento natalizio: fino al 1395 tutti i forni di Milano (tranne il prestino dei Rosti, fornitore dei più abbienti) avevano il permesso di cuocere pane di frumento solo a Natale, per farne omaggio ai loro clienti abituali. L’abitudine di consumare pane di frumento a Natale, quindi, è molto antica. Non c’è da stupirsi, perché molte altre città italiane ed europee condividevano l’usanza del pane arricchito della festa.

Le parti messe nero su bianco

Nel 1606, secondo il primo dizionario milanese-italiano (Varon milanes), il Panaton de Danedaa era un Pan grosso, qual si suole fare il giorno di Natale, per Metafora un’inetto [sic], infingardo, da poco. Francesco Cherubini ce ne dà una descrizione più ricca nel suo celebre Vocabolario milanese-italiano in cinque volumi (stampato tra il 1839 e il 1856; il terzo volume M-Q è del 1841). Il Panattón o Panatton de Natal come una Spe[cie] di pane di frumento addobbato con burro, uova, zucchero e uva passerina (ughett) o sultana, che intersecato a mandorla quando è pasta, cotto che sia risulta a molti cornetti. Grande e di una o più libbre sogliamo farlo solo a Natale; di pari o simil pasta ma in panellini si fa tutto l’anno dagli offellai e lo chiamiamo Panattonin – Nel contado invece il Panatton suole esser di farina di grano turco e regalato di spicchi di mele e di chicchi d’uva.

Viene introdotto il lievito

La prima fonte a parlare di lievito, invece, è del 1853: il Nuovo cuoco milanese economico, ricettario di Giovanni Felice Luraschi. I cubetti canditi (di cedro) compaiono nel Trattato di cucina, pasticceria moderna (1854) di Giovanni Vialardi, cuoco dei regnanti sabaudi. La presenza del panettone in un libro piemontese ottocentesco prova l’antichità della diffusione di questo dolce nella regione scelta da Flamigni come sede dei suoi impianti produttivi.

I formati del panettone

Il panettone, oggi, è disponibile in due formati: basso e alto. Dal primo è nato il secondo, ma il secondo ha indirettamente fatto evolvere il primo. Ripercorriamo le sue tappe.

Basso originario

Come racconta il suo nome, il panettone era un tempo un grosso pane, che fino ai primi del Novecento veniva infornato senza alcun tipo di stampo [per avere un’idea di come fosse]. La cosa era possibile, perché la quantità di grassi in esso contenuta era piuttosto modesta; niente a che fare con i 6÷700 grammi di burro per chilo di farina e i tanti tuorli impiegati oggi da molti pasticcieri (facendo lievitare e infornando senza guaine un panettone moderno, infatti, il risultato sarebbe una focaccia schiacciata, non un panettone).

Alto

Le Ricette Speciali sono state pensate e appositamente create dai nostri mastri pasticceri per ampliare e impreziosire la vasta gamma dei Panettoni Flamigni e incontrare il gusto del più moderno ed esigente consumatore, amante del tradizionale dolce natalizio italiano.

Basso moderno

Le Ricette Speciali sono state pensate e appositamente create dai nostri mastri pasticceri per ampliare e impreziosire la vasta gamma dei Panettoni Flamigni e incontrare il gusto del più moderno ed esigente consumatore, amante del tradizionale dolce natalizio italiano.

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